giovedì 19 settembre 2019

Titolo del dibattito: "Le competenze imprenditoriali sono ereditarie? No." Fine del dibattito.

Il Padre Fondatore Numero Uno di Bellestoffe Group ha due figli, un maschio e una femmina. 
Il maschio si è laureato in economia e ha lavorato nel gruppo tessile fondato dal padre praticamente dal giorno successivo, in DatumStoff prima e in Bellestoffe Fashion poi.
Essere l'unico figlio maschio del padrone non gli ha per niente facilitato le cose; sia i sodali del padre che le maestranze lo hanno sempre considerato l'ultima ruota del carro, quello di cui non fidarsi, il meno riuscito, lo scarognato, insomma, uno da trattare sempre e comunque di scartina al punto che spesso i consigli di amministrazione cui avrebbe avuto ogni diritto di partecipare venivano convocati senza neppure avvertirlo.
Il sanguigno e sbrigativo padre non ha mai fatto proprio niente per nasconderglielo, anzi.
Quando aveva sui venticinque o trent'anni provarono anche a incoraggiarlo sulla via della politica, mandandolo a ciondolare nell'organizzazione giovanile di un partito che ai tempi furoreggiava e che allora come oggi era una delle destinazioni naturali dei figli cadetti, che vi venivano e vi vengono stivati perché non facciano troppi danni in fabbrica. Un atteggiamento che rappresenta da chissà quanto una specie di costante della borghesia imprenditoriale, con risultati che si vedono benissimo.
Insomma: il povero Emanuele Strini ha trascorso un paio di decenni a immalinconire negli uffici, tenuto buono con incombenze risibili e traccheggiando circondato da malevoli cachinni lardellati di sufficienza con cambi e valute estere, attività in cui fior di squali della finanza hanno trovato il modo di rovinarsi. A furia di picchiettare sulla tastiera del computer centrò la bolla finanziaria del 2001 e quella del 2008. Peccato che lo fece per il verso sbagliato, comprando azioni al massimo del loro valore e rivendendole a crollo avvenuto.
La cosa non gli fu perdonata. Passato per decreto paterno da un demansionamento all'altro, o a provvisori incarichi fatti apposta per cambiarlo di posto, si è trovato a sovrintendere ormai relativamente rasserenato alle rovine di un piccolo impero che era arrivato a schierare oltre un centinaio fra dipendenti e collaboratori e quasi una decina di ragioni sociali.
Alla sua imperturbabilità atarassica contribuiscono la stretta amicizia con le benzodiazepine (buttate giù come acqua) e i periodici soggiorni nella clausura di un austero eremo montano.
La figlia Isadora si laureò invece in giurisprudenza, e allo stesso modo venne a lavorare nella Premiata Ditta gomito a gomito con l'illacrimato estinto.
Come figlia del Padre Fondatore ebbe la sua congrua parte di quote sociali, al pari di un certo numero di parenti che campavano alle spalle di Bellestoffe Group senza mai aver mosso un dito in vita loro, e di qualche famelico aquilotto arciconvinto di essere un genio della trama e dell'ordito, tenuto buono con le briciole purché passasse a partita IVA consentendo ai fondatori di scaricare ogni rischio d'impresa sugli imprenditori di se stessi.
Gli anni in cui Isadora lasciò i codici per dedicarsi agli ordinativi erano ancora tempi in cui le pezze campesi si vendevano come le arachidi: i venticinque anni, l'aspetto da silfide e il modo di fare sicuro, uniti ovviamente al prestigio paterno, le permisero di essere ammessa alla corte del riservatissimo fondatore di quella Irrinunciabile Multinazionale che anni dopo Nerino avrebbe cercato di far fessa con i risultati che sappiamo. L'avvenire era comunque in grembo ai celesti, anche se ampiamente divinabile visto lo spessore del personaggio, e fu anche grazie a Isadora che Bellestoffe Group poté comunque rifilare per anni alla Irrinunciabile Multinazionale i pregiati capi d'opera dell'arte tessile campese.
Ora, a lungo andare ci si stufa di qualsiasi cosa. Il fondatore della Irrinunciabile Multinazionale si stufò di prendere fregature dalla Premiata Ditta, e Isadora si stufò di passare le giornate gomito a gomito con il "signor" Lanucci, per quanto buoni potessero essere gli introiti.
Dopo qualche anno Isadora, al culmine di un brutto periodo personale in cui diede pubblicamente in escandescenze un paio di volte (il solito "io vi licenzio tutti" e altra roba da padrone di ferriera) mise gli occhi su una ditta di confezioni dal nome teatrale che pareva ben avviata. Lasciò perdere il lavoro alla Premiata Ditta lasciando i soci e soprattutto i sottoposti a vedersela col sordido operato di Nerino e col disprezzo di clienti e fornitori, acquistò la società -con quali soldi non è dato saperlo, dal momento che il suo tenore di vita contemplava tante e tali spese da prosciugare qualsiasi conto corrente- e la trasformò radicalmente.
In primo luogo convinse alla spicciolata il personale a togliersi dai piedi, in modo più o meno amichevole, e lo sostituì con individui di suo affidamento scelti in base ai criteri che caratterizzano l'ambiente "imprenditoriale" campese e che privilegiano la remissività, l'esistenza di forti legami familiari e il sussistere di ineludibili necessità economiche di quelle che garantiscono la ricattabilità delle maestranze, lasciando fuori dai parametri di gudizio quisquilie come la competenza e la correttezza.
Poi ne cambiò la ragione sociale.
Poi ne cambiò la sede: la morìa di ditte, sottoditte e reparti aveva già allora liberato un mucchio di posto negli stabili del padre e una sistematina a furia di cartongesso e tempera, unita a canoni d'affitto eccezionalmente benevoli, avrebbe senz'altro messo l'impresa sulla strada giusta per macinare utili a tutto spiano.
In pochi mesi la volenterosa giovane si presentò come stilista con un marchio proprio, che sostituì il nome teatrale della ditta rifondata e trasferita.
Poi vennero le tappe successive, che per una giovane donna di grandi ambizioni sono sempre le stesse: matrimonio dallo sfarzo campese e gravidanza che più programmata non si potrebbe. Le condizioni e le circostanze del concepimento cronometri alla mano, per una giovane donna tanto dinamica e dall'agenda tanto fitta di impegni, che tanto chiede al proprio fisico, è meglio lasciarle all'immaginazione.
Al bambino fu imposto, più che un nome, uno stigma.
Allo stesso modo fu battezzata una linea di capi femminili destinati a un target altissimo ma pur sempre fatti a Campo, ovvero con materiali discutibili e lavorazioni in economia.
Lo stile della silfide nerovestita si era assestato da subito su capi che sarebbero stati plausibili soltanto addosso a una diciottenne reduce da un paio di annetti ad Auschwitz e alta almeno un metro e novantasei. Già questo riduceva gli acquirenti potenziali a numeri con tre cifre, per quanto grande e affollato sia il mercato di riferimento. Se poi pensiamo che erano a tre cifre anche i prezzi, e più sul novecento che sul cento, ecco materializzarsi qualche ostacolo in più sulla via del successo e della prosperità.
Incurante di ogni obiezione e fortissima dei portafogli paterno e maritale, la silfide partì in grande con una boutique monomarca a Castel degli Stucchi, una località della costa a un tiro di schioppo da Campo un tempo frequentata da campesi straricchi e ora infarcita di straricchi di altra provenienza, che hanno da molti anni superato i frequentatori originari negli ardimentosi campi dello sperpero, dello scialo e dei lussi grossolani. Isadora Strini si sarebbe accorta di una realtà scomoda: si tratta di una clientela non certo facile da attirare e che in questo settore le apparenze ingannano che è una meraviglia.
Piccolo particolare: per costruire la fama e la redditività di un marchio occorrono sempre e comunque decenni di lavoro, spesso anonimo e spesso sotto traccia. Pare che la cosa non sia rimpiazzabile con le campagne pubblicitarie, per quanto massicce e per quanto dispendiose, e meno ancora piazzando di punto in bianco un negozio di vestiti in una via commerciale, per quanto prestigiosa possa essere la location e per quanto alti possano di conseguenza essere gli affitti.
In meno di un anno i conti decretarono la tragedia. O meglio, l'avrebbero decretata nel caso di chiunque altro avesse avuto alle spalle finanziatori meno benevoli: un intervento paterno rimise tutto a posto e consentì un secondo tentativo.
Un po' meglio meditato, magari.
Perfino lei arrivò a tanto consiglio, il che in un individuo assolutamente egoriferito è già lodevole indice di un minimo di coscienza.
Dopo qualche mese di riflessione decise di non dannarsi l'anima coi ricconi in vacanza, e di andare a cercarli direttamente a casa loro con altri sistemi sperabilmente più efficaci. I vestimenti da internata disegnati dalle raffinate ed esigenti mani di Isadora avrebbero fatto bella mostra di sé in negozi on line e in negozi multimarca, aperti nei principali grandi magazzini di città mai sentite nominare ma sperabilmente esclusivi a sufficienza, visto che la Nostra ostentava un disprezzo da lord Brummel per qualunque cosa le sembrasse cheap. Il tutto, tenuto insieme con un battage pubblicitario fitto di endorsement prestigiosi, o assai più spesso presunti tali.
Per diversi anni il benevolo sostegno paterno e quello ancor più benevolo del marito, scelto a suo tempo con oculatezza fra i rampolli della Campo che Pensava di Contare, hanno puntellato lo stile di vita di Isadora e il suo costosissimo giocattolo -un'impresa comunque traballante che nei bilanci migliori chiudeva a malapena in pari- senza mai metterne in discussione la linea stilistica o la gestione. La visibilità mediatica e la fitta pubblicità del marchio Isadora Strini di conseguenza non corrispondevano affatto a una realtà consolidata, e in qualche caso hanno portato a esiti di comicità involontaria piuttosto notevoli, come l'orgogliosa presentazione della foto in cui compare una certa cantante ventenne ritratta con un prezioso capo Isadora Strini dopo essersi esibita in una performance televisiva.
Dopo, non durante.
Probabilmente il durante imponeva esborsi su cui perfino lei aveva dovuto ponderare con attenzione.
Insomma, i quattrini altrui hanno consentito a una campese di intestardirsi per chissà quanto a farsi largo a gomitate tra le grandi firme che infarciscono quelle riviste di moda che si ammucchiano dai parrucchieri e dai dentisti. Peccato che le svendite nell'outlet improvvisato nell'androne della sede centrale (lontanissima da qualsiasi prestigioso distretto commerciale) e tenute a cadenze sempre più frequenti parlassero una lingua piuttosto diversa e tutt'altro che trionfalistica.
Al mondo tutto ha un limite, anche la benevolenza del portafoglio dei congiunti, per quanto fornito. Dopo anni e anni e anni di presentazioni in sedi prestigiose, di interviste esclusive, di viaggi in business class alla scoperta dei mercati emergenti, di atelier nella capitale della moda, di ristoranti stellati, di modelle asfittiche, di location innovative, di ricevimenti in cui si siede quasi accanto a questo o a quel nome di fama mondiale e soprattutto di note spese con quattro zeri anche il più generoso pigmalione alzerebbe bandiera bianca, figuriamoci il secondo (e ultimo) discendente di una famigliola di imprenditori tessili campesi.
Stufo di turare con palate di quattrini i buchi nei bilanci-gruviera (un formaggio talmente cheap da essere senz'altro bandito dalla mensa di lei), a sottolineare la gravità della situazione il marito di Isadora approfittò della stagione calda per cominciare a presentarsi in ditta in calzoncini corti, come per far presente di essere rimasto in mutande. Un arbitrio inaudito, una licenza a un dress code inappuntabile cinque stagioni l'anno che in altri tempi non sarebbe stata tollerata ma che ora vedeva Isadora silente, se non proprio accomodante. Meglio non alzare troppo la cresta; non sarebbe il primo matrimonio che finisce con un fitto scambio di salve di stoviglie e suppellettili domestiche. Nel caso specifico aprire le ostilità avrebbe senz'altro messo a repentaglio un patrimonio di vasi Ming e di porcellane di Limoges.
A differenza di quanto successo con le precedenti cessazioni di attività avvenute in Bellestoffe Group la brigata dei dipendenti dovrà per intero arrangiarsi in proprio: non esiste più alcun ricettacolo in cui ricollocare gli esuberi.
Probabilmente, neppure in tutta Campo.