martedì 1 marzo 2016

Le commosse esequie

I funerali di Nerino Lanucci si tengono dopo qualche giorno in una chiesa stracolma nella località di Izzo, nel finitimo comune di Vallepirlo.
Gli intervenuti sono una vera folla che fatica a stiparsi all'interno della pieve e che soprattutto non si contraddistingue per le attestazioni di dolore e di commozione. Domina al contrario un'atmosfera relativamente rilassata -per non dire chiassosa- e ci sono anche molte persone che compiono gesti poco compatibili con la dignità del luogo. In fondo alla chiesa per esempio si riunisce presto una vandea che chiacchiera di pallone, spaparanzata sulle panche con le mani in tasca e le gambe accavallate. Ogni tanto escono gruppi di due o tre persone che vanno a farsi un caffè al bar di fianco e ritornano dopo una quantità di tempo in cui sarebbe tranquillamente entrato un pranzo di due portate, ostentando un atteggiamento disinvolto e davvero ristorantesco.
Fendono la folla lagrimose la vedova e le figlie, raggiunte dall'altrettanto addolorata rappresentante turkmena Solyanka Moskowitz che si è fiondata a Campo con il primo volo disponibile.
In questo è stata imitata da un certo numero di corrispondenti esteri e rappresentanti, un'umanità in cui pullulano lestofanti, viscidi, cialtroncelli, profittatori, pigri e puttanacce pure e semplici accomunati soltanto dal contratto a suo tempo stretto con la Premiata Ditta.
Nel corso del rito Padre Fondatore Numero Uno e Padre Fondatore Numero Due pronunciano l'elogio funebre dell ex socio. Il primo facendo intendere alle maestranze della Premiata Ditta, e direttamente dal pulpito, che per quanto riguarda lui possono praticamente andare a farsi stritolare le chiappe. Il secondo chiudendo il più che scarno elenco di meriti del per nulla compianto estinto, riempito a fatica grazie a luoghi comuni dozzinali, con espressioni del tipo "e pensare che non eri neppure campese". L'affermazione può sembrare strana; va allora ricordato che agli occhi di industriali e imprenditori della città di Campo, ma anche a quelli del campese qualsiasi, non esiste merito capace di cancellare il peccato originale costituito dalle origini extracittadine, sia che le si debba ricercare in qualche borgo finitimo sia che si perdano in più remote lande, nebbiose o assolate che siano.
Si sarà capito che a stipare per un'oretta la chiesa di Izzo è un sacco di gente venuta ad assicurarsi che Nerino fosse morto schiantato davvero, e morto schiantato sul serio.
Ancora deve disperdersi l'odore dell'incenso che si percepisce difatti il tintinnar delle scimitarre pronte a scintillare al sole. A levare alto lo stendardo della vendetta c'è uno stuolo di creditori, gabbati, truffati, maltrattati e falliti per colpa del de cuius, finalmente intenti ad affilare le armi e soddisfattissimi di aver potuto constatare personalmente che le maledizioni funzionano.
L'atmosfera generale, punteggiata di sghignazzi e di gomitate allusive, ricorda i "fedeli bisbiglianti di cambiali e di contanti" di un'anticlericale poesia del Carducci; i pochi cattolici praticanti che ben conoscevano la profonda devozione che caratterizzava il festeggiato si sorpendono del fatto che all'aspersione l'acqua santa non svapori sfrigolando dal cofano funebre, levando un olezzo sulfureo.  
Siccome non si può lasciarlo in giro come se nulla fosse, anche se l'ipotesi troverebbe fra i presenti un buon numero di sostenitori, alla fine arrivano anche quelli dell'agenzia funebre e portano via il protagonista della giornata per andare a sistemarlo in un cimitero a qualche paese di distanza. Il consesso si scioglie e ce ne andiamo tutti per i fatti nostri: chi in ditta a far finta di lavorare, chi all'inumazione a far finta di essere dispiaciuto.

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