sabato 19 marzo 2016

Prime crepe, primi nodi

"...Ah, qualcuno ha stappato lo spumante davvero: per esempio quelli della Ditta Acme, che li ha fatti fallire lui a furia di non pagare le fatture..."

Considerazioni espresse ad alta voce da un magazziniere di lungo corso.

Nel pieno dell'estate e a qualche settimana appena dalla scomparsa di Nerino vengono al pettine i primi nodi seri, e il suo gretto mondo di lussi da pescecane comincia a mostrare le prime crepe.
Nello stolto vitalismo "imprenditoriale" che lo caratterizzava, immediatamente dopo aver ricevuto da Bellestoffe Group un brusco congedo (su tutta la vicenda avremo occasione di dilungarci in una prossima occasione), Nerino aveva aperto un'altra piccola impresa tutta sua, la Titta's.
Aveva cooptato due signori freschi reduci da una débacle ma con un bel campionario di tessuti denim: ovviamente in capo a qualche mese i due capirono in che ambientino si erano andati a cacciare e non tardarono a trarre conclusioni piuttosto brusche sul clima organizzativo e sui "valori" del Nostro, congedandosene uno dopo l'altro -peraltro in modo assai urbano- e lasciando la Titta's senza reparto tecnico e senza reparto commerciale dopo meno di un anno. Durante una giornata abbastanza tesa uno dei tecnici arrivò ad apostrofare sprezzante Nerino riguardo a Koka Baranidze, quella sua amichetta che dal campionario avanzava pretese e interferenze forte del proprio ruolo, comportandosi come l'ennesimo bastone tra le ruote della produzione.
L'ennesimo bastone tra le ruote, perché lavorare per la Titta's voleva dire procedere alla giornata, a prezzo di fatiche schifose e in mezzo a problemi di ogni genere, dovuti anche al fatto che i mancati pagamenti ai terzisti che per il Lanucci erano un modo di fare abituale costringevano il personale della Titta's e quello della Premiata Ditta a mantenere addirittura le distanze fisiche dalla sede di certe imprese creditrici, per ridurre al minimo il rischio di essere riconosciuti e di subire manesche rappresaglie.
Impiantare Titta's aveva richiesto un certo sforzo economico; orbata di quattro quinti del personale, la ditta non ripagò neppure in minima parte le spese di impianto e sostanzialmente non produsse mai un centesimo di utili, al punto da far pensare che l'intenzione di Nerino, qualunque fosse, non era certo quella di utilizzarla per ricavarne dei proventi ma se mai quella di usarla come discarica per magagne, seccature e soprattutto passivi di altra provenienza, arraffando magari qualche articolo interessante dal campionario denim su ricordato e rivendendolo poi con la Premiata Ditta.
Alla morte di Nerino, la Titta's perdeva centinaia di euro ogni giorno per il solo fatto di esistere e tutta la sua attività si compendiava di qualche articolo messo a listino e venduto dalla Premiata Ditta col sistema su descritto. A tenere il forte, un superstite impiegato commerciale che per l'ingarbugliata serie di vicissitudini sentimentali e familiari che aveva imbastito era costretto a praticare quella Sopravvivenza Dura che dei fronzoli e degli Entusiasmoni se ne strafrega, e che se mai avrebbe vitale bisogno di un po' di tranquillità e di certezze.
Relegata in una sala al primo piano e condividendo strumenti, mezzi ed ambiente con la Premiata Ditta -il cui personale lavorava per entrambe le ragioni sociali con tanti saluti alla legislazione sul lavoro- in quel mese di luglio la Titta's ebbe un'eutanasia informatica ed organizzativa rapida e semplice, con lo spegnimento e il distacco dalla rete dei tre pc e delle due stampanti di competenza, con la chiusa a chiave della stanza e con la sua rimozione dalla lista degli ambienti con i condizionatori abilitati.
Sulle vestigia assolate della Titta's la temperatura iniziò a crescere.
Cominciò a far caldo.
Mai tanto caldo quanto ne faceva altrove a chi l'aveva messa in piedi, naturalmente.

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